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Il professor Bart D. Ehrman spiega tutte le inesattezze contenute nel romanzo
(Il Giornale, Pubblicato Martedì 19 Aprile 2005)
La
dura presa di posizione del cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova,
contro il romanzo «Il Codice da Vinci» di Dan Brown ha fatto letteralmente
il giro del mondo. Non era la prima volta che un alto prelato cattolico condannava
pubblicamente un libro invitando i propri fedeli a non leggerlo. Tanto per prendere
qualche esempio antico, già nel 1759 Papa Clemente XIII aveva iscritto
all'indice dei libri proibiti opere come l'«Emile» di
Rousseau e l'«Enciclopedia» di Diderot e D'Alembert.
Per il libro, meno noto, «Justini Febronii» di Hotheim, addirittura
aveva sollecitato i vescovi tedeschi a procedere energicamente contro di esso.
Il problema è che dal 1759 ad oggi di acqua sotto i ponti ne è
passata tanta e non è possibile paragonare un'epoca in cui l'analfabetismo
era diffusissimo con i tempi moderni che stiamo vivendo. Eppure il cardinale
Bertone non ha esitato un attimo a prendere una pubblica posizione contro il
romanzo di Dan Brown per condannarlo e metterlo all'indice. Perché?
Considerando
che il thriller dello scrittore americano ha venduto dai 20 ai 25 milioni di
copie in tutto il mondo, e che adesso ne verrà fuori anche un film interpretato
da Tom Hanks, non c'è dubbio che la risonanza del messaggio di cui il libro
è portatore è stata davvero planetaria. Se poi si considera che il romanzo mette
in dubbio la divinità di Gesù Cristo, anzi lo trasforma in un uomo sposato che,
scampato al supplizio della croce, si rifugia in Francia dove sposa Maria Maddalena
e origina la dinastia dei re francesi Merovingi, c'è da capire il disappunto
del Vaticano. Disappunto che diventa furore quando Dan Brown calca la mano sull'Opus
Dei facendola diventare una specie di associazione di fanatici religiosi pronti
a tutto pur di raggiungere i loro scopi reconditi.
Di fatto, però, le altre religioni cristiane di cui il mondo anglosassone
è pieno, non hanno fatto una piega quando il libro di Dan Brown è
uscito. Semplicemente lo hanno ignorato.
Se i cristiani
protestanti e ortodossi sono stati zitti, però, una ragione c'era. Prima di
tutto nessuno si sente di prendere per oro colato la presunta «verità» di un
romanzo. E poi gli errori storici compiuti da Dan Brown nella sua esposizione
erano tanti e tali da non ritenerlo degno di alcuna risposta ufficiale. Tutt'al
più, come è accaduto, sono usciti altri libri che puntualmente contestavano
le sue dichiarazioni.
Una delle risposte più autorevoli a Brown è venuta dal professor
Bart D. Ehrman che dirige il dipartimento di Studi religiosi dell'Università
del North Carolina. Autorevole storico della Chiesa delle origini e della vita
di Gesù Cristo, il professor Ehrman è autore di numerosi volumi
sull'argomento e non gli ci è voluto molto per distruggere il messaggio
di Brown accusandolo di falsità storiche e inesattezze. Il suo ultimo
libro, «La verità sul Codice da Vinci», pubblicato nel 2004
negli Stati Uniti dalla Oxford University Press, Inc. e in Italia quest'anno
dalla Mondadori, smantella infatti l'impianto di Dan Brown riducendolo
a quello che poi è: un romanzo con una trama molto avvincente e articolata,
ma assolutamente fantasioso e non attendibile.
Ma vediamo le accuse circostanziate che il professor Ehrman muove a Brown. Affianco ad ogni accusa viene riportata anche la pagina del libro di Brown che contiene l'affermazione contestata.
1. La vita di Gesù certamente non è stata «scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre». Gesù infatti non aveva migliaia di seguaci e men che meno alfabetizzati (p.272).
2. Non è vero, ed è improprio, dire che che «più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento» (p.272). In effetti nessuno ha mai saputo quanti fossero i Vangeli, ma si ritiene che non superassero la ventina.
3. Non è assolutamente vero che prima del concilio di Nicea Gesù non fosse considerato divino bensì un «profeta mortale» (p.273). La maggioranza dei cristiani, fin dall'inizio del IV secolo, ne riconosceva la divinità. è vero invece che alcuni pensavano che fosse divino al punto da non essere affatto umano!
4. L'imperatore Costantino non commissionò una «nuova Bibbia» che omettesse i riferimenti ai tratti umani di Gesù (p.275). Anzitutto non ne commissionò affatto una nuova, e inoltre i libri che vi furono inclusi sono fitti di riferimenti ai tratti umani di Cristo (è affamato, stanco, si arrabbia, è turbato, sanguina, muore…).
5. I rotoli del Mar Morto non furono trovati negli anni Cinquanta (p.275). Era invece il 1947. E i documenti di Nag Hammadi, e cioè i 46 scritti cristiani trovati nel 1945 da alcuni beduini in una località a 450 km a sud del Cairo, non raccontano per nulla la storia del Graal, nè sottolineano l'umanità di Gesù. Semmai è vero il contrario visto che Gesù viene descritto come un essere divino.
6. Il «costume dell'epoca» di cui parla Dan Brown riferendosi agli antichi ebrei non imponeva affatto «a un ebreo di essere sposato» (p.288). Infatti i membri della comunità dei Rotoli del Mar Morto erano in gran parte maschi e celibi.
7. Altra grave inesattezza quella che riguarda i Rotoli del Mar Morto che non sono affatto tra «i più antichi documenti cristiani» (p.288). Sono invece del tutto ebraici e di cristiano non hanno assolutamente nulla.
8. Non sappiamo niente, nel senso che non esistono prove di qualsiasi natura, della discendenza di Maria Maddalena e niente la collega alla «Casa di Beniamino». Se anche ne avesse fatto parte, ciò non farebbe di lei una discendente di Davide (p.291).
9. Non esistono dati di qualunque tipo a confermare che Maria Maddalena fosse incinta al momento della Crocifissione (p.298).
10. Il documento Q di cui parla Dan Brown non è una fonte pervenuta fino a noi e nascosta dal Vaticano, né un libro scritto dallo stesso Gesù. è invece un ipotetico documento che per gli studiosi potrebbe essere stato a disposizione dei discepoli Matteo e Luca: sarebbe sostanzialmente una raccolta dei detti di Gesù. Gli studiosi cattolici ne hanno la stessa opinione dei non cattolici; non esistono dunque segreti in merito (p.300).
Da tutto
questo si desume che, storicamente parlando, il «Codice da Vinci» è acqua fresca.
La verità è che questo scrittore non è neanche uno studioso di esoterismo (ci
vuole ben altro per poterlo definire tale), bensì un «furbacchione» che si è
ispirato ad un controverso filone letterario presente nel mondo anglosassone
fin dagli anni Sessanta per creare un romanzo oggettivamente interessante ed
avvincente, anche se del tutto inattendibile. La maggiore notorietà di questo
filone si ebbe tra il 1972 e il 1981 quando un giornalista della britannica
BBC, Henry Lincoln, mandò in onda tre documentari della serie «Chronicle»: «The
Lost Treasure of Jerusalem» (Il tesoro perduto di Gerusalemme), «The Priest,
the Painter and the Devil» (Il prete, il pittore e il diavolo) e «The Shadows
of the Templars» (L'ombra dei templari). Per quest'ultimo documentario Lincoln
si avvalse della collaborazione di Richard Leight, romanziere appassionato di
esoterismo, e di Michael Baigent, fotogiornalista e psicologo.
Nel 1982 questo trio diede alle stampe il libro «The Holy Blood and the
Holy Grail» (Il Sacro Sangue e il Sacro Graal» che la Mondadori
pubblico anche in Italia con il titolo «Il Santo Graal».
Fu un successo senza precedenti per il mondo di lingua inglese. Documentari
e libro ovviamente volarono Oltreatlantico ed ebbero molta fortuna anche negli
Stati Uniti. In Italia, invece, ben pochi si accorsero di quel saggio. Fu comunque
l'inizio della saga di Rennes-le-Chateau, cioè del terreno su cui
sarebbe poi germogliato «Il Codice da Vinci» di Dan Brown. Tanto
è vero che Leight e Baigent hanno denunciato Brown per plagio. Lincoln,
invece, ha preferito ritirarsi dalla mischia sostenendo che non credeva più
alle teorie che egli stesso aveva proposto nel suo libro.
Ma che cos'è la saga di Rennes-le-Chateau e perché ha fatto
tanto parlare? La storia, ancora una volta, è misteriosa e avvincente.
Il
villaggio di Rennes-le-Chateau, che indirettamente ha ispirato «Il Codice
da Vinci» di Dan Brown, si trova su una collina a circa 40 chilometri
da Carcassonne, nella regione francese dell'Aude. è qui, in questo
piccolo avamposto sui Pirenei, che il primo giugno del 1885 giunge il nuovo
curato Berenger Saunière. Trentatrè anni, taglia atletica, modi
sprezzanti e diretti, i paesani di Rennes-le-Chateau capiscono subito che quello
strano prete non è il classico curato di campagna. Di lui si sapeva che
era il primogenito dei dieci figli di Giuseppe Saunière, proprietario
e sindaco di Montazels. Nel Grande Seminario di Carcassonne, dove Berenger studiò
per diventare sacerdote, lo consideravano un giovane brillante. Ma era allergico
alla gerarchia, dichiaratamente monarchico e attaccava spesso e pubblicamente
il governo repubblicano. Nel 1879 venne ordinato sacerdote e fece due esperienze
ad Alet e Clat, poi prese servizio come professore nel seminario di Narbonne.
Ma ci restò poco. In aperto conflitto con i superiori, alla fine venne
degradato e trasferito a Rennes-le-Chateau.
Per chiunque altro sarebbe stata la morte civile, ma non per lui. A due passi
dal suo paese natale di Montazels, Saunière passava il tempo a cacciare
e pescare. Il suo stipendio comunque era minimo e gli bastava appena per sopravvivere.
Come governante Berenger si scelse una contadina diciottenne, Marie Denarnaud,
che sarà, non senza qualche ambiguità, la compagna e la confidente
di tutta la vita. Diventò anche amico di Henry Boudet, parroco della
vicina Rennes-le-Bains, dove si recava spesso.
è proprio Boudet a convincerlo a restaurare la chiesa di Rennes-le-Chateau
consacrata a Santa Maddalena fin dal 1059. L'edificio sorge sulle fondamenta
di una struttura visigota ancora più antica, risalente al VI secolo.
Presa a prestito una piccola somma dal Comune, nel 1891 Berenger inizia quindi
la sua piccola opera di restauro della chiesa. Ad aiutarlo ci sono l'imprenditore
Elie Bot, i muratori Pibouleau e Babou, e i chierichetti Rousset e Verdier.
Tutti saranno poi testimoni di quel che accadrà da lì a poco.
La scoperta avviene un pomeriggio quando i muratori tolgono la lastra di marmo
dell'altare e si accorgono che una delle due colonne che la sorreggeva
era cava. All'interno si trovavano quattro cilindri di legno sigillati.
Quando Saunière li aprì si trovò davanti a quattro antiche
pergamene. Basandosi sui racconti dei testimoni, visto che le pergamene presto
sparirono e non furono mai più ritrovate, pare che le prime due contenessero
genealogie e fossero datate 1244 e 1644, le altre invece risalivano al 1870
e sarebbero state stilate da un predecessore di Saunière, l'abate
Antoine Bigou, curato di Rennes-le-Chateau.
Proprio quelle due genealogie saranno poi la trave portante del romanzo di Dan
Brown.
Bigou era stato cappellano dei Blanchefort, un'importante famiglia della
zona. Infatti su una cima, a due chilometri da Rennes-le-Chateau si trovano
ancora oggi le rovine del castello di Bertrand de Blanchefort, quarto Gran Maestro
dei Templari, a capo dell'Ordine verso la metà del XII secolo.
A quanto pare le pergamene relative al tempo di Bigou vennero trascritte, anche
se i testi erano volutamente pasticciati e di fatto incomprensibili. Ad esempio
qua e là nel testo c'erano maiuscole che, lette assieme, formavano
la scritta:
A DAGOBERT II ROI ET A SION EST CE TRESOR ET IL EST LA MORT
(A
re Dagoberto II e a Sion appartiene questo tesoro ed egli è là
morto).
Dagoberto era un re della dinastia Merovingia, cioè uno di quei sovrani
francesi tirati in ballo da Dan Brown nel suo romanzo.
Con il permesso del vescovo di Carcasonne, Saunière si reca quindi a
Parigi per cercare qualcuno che possa tradurre le sue pergamene e il primo appuntamento
è con l'abate Bieil, direttore generale del Seminario di Saint
Sulpice. Costui lo presenta al nipote èmile Hoffet, che nonostante i
suoi vent'anni ha fama di essere un buon linguista. Ma Hoffet aveva anche
interessi esoterici e infatti introduce Saunière in uno dei più
esclusivi gruppi occultistici francesi di cui fanno parte, tra gli altri, anche
personaggi come il letterato Stéfane Mallarmé e il compositore
Claude Debussy. Ma c'è anche la soprano Emma Calvé, la Callas
dell'epoca, della quale a quanto pare Saunière sarebbe diventato
l'amante. Il curato starà tre settimane a Parigi e la sua vita
da quel momento cambia.
Tornato a casa, improvvisamente mostra una disponibilità economica inimmaginabile.
Completa il restauro della chiesa, costruisce una nuova strada per Rennes-le-Chateau,
fa edificare una stranissima torre su un precipizio (Torre Magdala), una villa
imponente (Villa Bethania) dove però non andrà mai ad abitare,
e acquista sei terreni. Ad un certo punto il nuovo vescovo gli chiede conto
di quel denaro e, al suo rifiuto di fornire spiegazioni, lo sospende. Ma Saunière
si rivolge al Vaticano e viene riammesso.
In
tutto si calcola che per realizzare le sue opere abbia speso la bellezza di
659.413 franchi d'oro, corrispondenti a 3.518.440 euro odierni, e non
si conosce l'intera provenienza di quel denaro, anche se sono state trovate
ricevute di ingenti versamenti che l'arciduca Giovanni d'Asburgo,
cugino dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, gli aveva fatto
aprendo un conto a suo nome.
Del resto tra i visitatori di Saunière c'erano anche politici di
primo piano come Henri Charles Etienne, segretario di Stato alle Belle arti,
nonché noto massone.
Il 17 gennaio del 1917, mentre stava uscendo da Torre Magdala, Saunière
venne colpito da un infarto. In punto di morte venne chiamato un sacerdote da
una parrocchia vicina per confessarlo e somministrargli l'estrema unzione,
ma questi, dopo averlo ascoltato, uscì sconvolto dalla stanza e si rifiutò
di dargli l'ultimo sacramento. Il 22 gennaio, dunque, Saunière
morì privo dei conforti religiosi.
Il giorno dopo il suo corpo, rivestito con un ricco mantello adornato da nappe
rosse, venne esposto su una poltrona alla Torre Magdala. Fu una continua processione
di personaggi famosi, tra cui quell'arciduca austriaco che ormai la gente
di Rennes chiamava familiarmente «Guglielmo». E ogni visitatore,
come ultimo ricordo, tagliava e si portava via una di quelle nappe rosse.
Chi era dunque Berenger Saunière? Il caso scoppiò negli anni Sessanta
quando sulla rivista «Depeche du Midi» apparirono alcuni articoli
su Rennes-le-Chateau subito seguiti dal libro «Tresor du Monde»
di
Robert Charroux. Nel 1967 seguì un altro volume, «L'or de
Renness» di Gérard de Sède, in cui si diceva che il curato
avrebbe scoperto nelle pergamene più antiche la presunta genealogia che
da Gesù Cristo e Maddalena, attraverso una loro fantomatica figlia, si
sarebbe poi risaliti alla dinastia Merovingia che avrebbe dunque diritto al
trono francese. Questo segreto sarebbe poi stato custodito da un antico Ordine
misterioso, il Priorato di Sion, che avrebbe avuto tra i suoi gran maestri anche
personaggi come Leonardo da Vinci. L'obiettivo dell'Ordine sarebbe
stato proprio quello di ripristinare la monarchia in Francia.
Fu solo a questo punto che il giornalista britannico Henry Lincoln venne a conoscenza
della storia e la rese pubblica nei suoi documentari per la BBC. A sua volta
Dan Brown ne ha tratto ispirazione per «Il Codice da Vinci».
Il problema è che tutta la storia della genealogia dei Merovingi e del
misterioso ruolo del Priorato di Sion si è rivelata un'enorme bufala.
L'architetto di questo incredibile affaire risultò poi essere un
certo Pierre Plantard che nel 1989 verrà incarcerato per truffa chiudendo
così, dietro le sbarre, le sue anacronistiche aspirazioni monarchiche.
In realtà dunque ancora oggi non si sa che cosa Sauniere scoprì
davvero nella sua chiesa, chi erano i suoi finanziatori e perché investirono
tutti quei soldi in progetti apparentemente senza significato. Da questo punto
di vista, il mistero di Rennes-le-Chateau resta inspiegabile fino ai giorni
nostri.
Se qualcuno credeva che «Il Codice da Vinci» di Dan Brown potesse danneggiare
la religione cattolica, adesso può ricredersi. La risposta viene proprio dagli
Stati Uniti, la nazione in cui il romanzo è stato pubblicato, dove mai come
adesso si sta vedendo il boom delle vendite di oggetti di carattere religioso
e, soprattutto, di ispirazione cattolica. A riportarlo è il New York Times che
nell'edizione del 29 Marzo scorso ha pubblicato l'articolo «Wearing Their Beliefs
on Their Chest» (Indossano la loro fede sul loro petto) di Ruth La Ferla nel
quale si parla di come il fenomeno religioso stia diventando più che una moda,
un vero e proprio modo di pensare, soprattutto tra i giovani. Al Greenwich Village
di New York, racconta la giornalista americana, si vedono ragazzi che indossano
magliette con l'immagine di Gesù e la scritta
«Put Down Drugs and Come Get a Hug» (Lascia perdere le droghe e vieni ad abbracciarmi)
e ragazze con magliette che raffigurano un rosario intrecciato e la scritta
«Everybody Loves a Catholic Girl» (Tutti amano una ragazza cattolica). «Non
c'è nessun dubbio, la religione sta diventando la nuova tendenza - spiega Jane
Buckingham, presidente della Youth Intelligence, una società molto attenta alle
nuove mode - Per tutta una generazione di giovani desiderosa di credere in qualcosa,
indossare una maglietta con l'immagine di Gesù, una papalina o un braccialetto
della cabala è un modo per sentirsi unici, un membro di una cultura specifica
o di un clan, e nello stesso tempo far parte di qualcosa di molto più grande».
Anche un sondaggio compiuto su Internet ha accertato che una grande maggioranza
di giovani vogliono indossare magliette con scritte come «Inspired by Christ»
(Ispirato da Cristo) e «Give All the Glory to God» (Concedi tutta la gloria
a Dio).
Il fenomeno tra l'altro sta attraversando tutti gli Stati Uniti. Nelle boutique
di Atrium, a New York, si vendono magliette e polo con l'immagine della Cappella
Sistina, mentre nelle boutique di Intuition, a Los Angeles, ormai si vendono
soltanto rosari e medagliette di San Cristoforo. Del resto la catena Teenage
Millionaire di Los Angeles, nota per le magliette con la scritta «Jesus Is My
Homeboy» (Gesù è il ragazzo che mi sta vicino), l'anno scorso ha superato i
10 milioni di dollari di vendite contro i 2 milioni dell'anno precedente. E
anche la società The Solid Light Group di Columbus, in Ohio, che vende magliette
con la scritta «Jesus Rocks», in un anno ha visto aumentare le vendite del 40
per cento.
Insomma, l'attacco alla Chiesa cattolica, sempre che così si possa definire
«Il Codice da Vinci», si è rivelato un vero e proprio boomerang. Del resto è
mai possibile credere che basti un semplice romanzo per distruggere la fede?
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