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Gli eroi di Alamo
Texas 1836
di Rino Di Stefano
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(Storia e Dossier, Pubblicato Mercoledì 1 Marzo 2000)

La mattina del 27 febbraio 1837
spirava un vento gelido sulle rovine della missione di Alamo. Il cielo era
terso, di un azzurro intenso, e il pallido sole invernale del Texas illuminava
ciò che restava dell'antica chiesa e dei muri perimetrali sgretolati dalle
cannonate del generale Santa Anna.
Il silenzio della prateria venne rotto
dall'arrivo della compagnia di cavalleggeri texani agli ordini del capitano Juan
Seguìn al cui seguito viaggiava il calesse di un falegname. Il compito del
capitano Seguìn non era semplice. Secondo gli ordini ricevuti dal governo
presieduto da Sam Houston, doveva trovare i resti dei cadaveri di William Barret
Travis, David Crockett e James Bowie, cioè di coloro che avevano guidato
l'eroica difesa di Alamo fino all'estremo sacrificio, per dare loro onorata
sepoltura. Non si può dire che la preoccupazione di fornire una tomba agli eroi
di Alamo fosse stata tempestiva. I circa 180 americani che si fecero
volontariamente uccidere dall'esercito messicano per affermare il principio di
un Texas libero e statunitense, erano morti nella notte del 6 marzo 1836, poco
meno di un anno prima. Per tutto quel tempo le loro ossa, buona parte
carbonizzate, erano rimaste all'aperto sul piazzale della missione dove i corpi
erano stati bruciati dai militari messicani in due grandi falò.
Adesso gli
uomini di Seguìn si aggiravano tra pezzi di teschi e tibie chiedendosi come
avrebbero mai potuto identificare i resti di quei tre senza poter sbagliare. E
in effetti non potevano, per cui scelsero soltanto le ossa che sembravano più in
buono stato e, quando sembrò loro di avere messo assieme abbastanza resti per
comporre tre corpi, chiamarono il falegname che li infilò tutti dentro una bara
di legno grezzo di cui provvide subito a inchiodare il coperchio. Sulla
superficie Seguìn stesso scrisse quindi i tre nomi: Travis, Crockett e Bowie.
Ricoprì poi la bara con un largo panno nero, vi pose sopra la campana della
chiesa e si diresse verso il centro di San Antonio dove, sfilando lungo la
strada principale, i cittadini avrebbero potuto finalmente porgere l'ultimo
saluto agli eroi di Alamo. La cerimonia della tumulazione avvenne nel
pomeriggio, quando i soldati di Seguìn riportarono la bara ad Alamo,
accompagnati da una numerosa folla. La cassa e il resto delle ossa vennero
seppelliti sotto l'ampio piazzale della chiesa e i soldati, schierati nel
picchetto d'onore, esplosero sei scariche di fucili, tre prima e tre dopo la
sepoltura, in onore dei morti. Il primo ad arringare la folla fu Seguìn, in
spagnolo. Il secondo il maggiore Thomas Western, in inglese: «In queste ossa,
qui di fronte a noi - disse - non vediamo altro che i tangibili resti di Travis,
Bowie e Crocket» .
Peccato che a cerimonia conclusa nessuno pensò bene di
lasciare un qualche segno dove la tumulazione era avvenuta, per cui con il
passare degli anni sul posto prima si assistette alla crescita spontanea di un
boschetto di peschi, poi all'asfalto della moderna metropoli di San Antonio nel
cui centro sorge ancora oggi il monumento nazionale di Alamo.

Come si addice alle leggende, dunque, di Travis, Bowie e Crockett
restò soltanto il ricordo nel cuore e nella tradizione degli americani. Ma chi
erano questi tre personaggi? Come mai uomini così diversi tra loro finirono per
essere accomunati in un unico tragico destino? E cosa accadde realmente ad Alamo
in quei freddi giorni di marzo del 1836?
Il conflitto che portò alla rivolta
dei coloni americani contro il governo del Texas messicano fu dovuto
essenzialmente alla differenza culturale tra i due gruppi etnici. I messicani
con due leggi del 1823 e del 1825 incoraggiarono l'arrivo degli americani in
Texas. I requisiti per emigrare in territorio texano erano sostanzialmente tre:
diventare cattolici, ubbidire alle leggi messicane e non avere schiavi.
Soprattutto su quest'ultimo punto i messicani erano irremovibili, mentre gli
americani pretendevano di continuare a servirsi della mano d'opera negra
considerandola né più né meno che proprietà privata. A ogni emigrante americano
il governo messicano concedeva una lega (pari a 4.428 acri) per l'allevamento, e
un labor (177 acri) per coltivare. Inoltre era prevista un'esenzione dalle tasse
per sei anni e chi sposava una donna messicana riceveva anche un quarto di lega
in più . A questo proposito, se l'americano era scapolo, riceveva soltanto un
quarto di lega. Tanto per avere un'idea delle misure, si pensi che un acro
corrisponde a 4.047 metri quadrati. Il costo di queste concessioni era di 30
dollari più le spese, e c'erano quattro anni di tempo per pagare.
Grazie a
questi incentivi, ben presto buona parte del Texas venne abitata da americani e
più il numero aumentava più crescevano i dissapori col governo messicano. La
rottura avvenne nel 1835 quando i padroni di casa si resero conto che i loro
ospiti cominciavano a parlare palesemente di separazione del Texas dal Messico.
A quel punto promulgarono una nuova legge che vietava l'accesso a nuovi
emigranti americani e il generale Antonio Lòpez de Santa Anna, appena nominato
capo del governo messicano, cominciò ad arrestare quelli che considerava i capi
della rivolta. Gli insorti, che avevano nominato Sam Houston comandante in capo
del loro esercito, si impossessarono della citta di San Antonio ed è qui che un
piccolo contingente americano di 155 uomini al comando del colonnello William
Barret Travis, 27 anni, un avvocato dell'Alabama militarizzato sul campo, si
trovava quando all'orizzonte apparvero i 4000 soldati di Santa Anna.
Nel
comando Travis era affiancato da James Bowie, 40 anni, un avventuriero della
Louisiana che si era stabilito in Texas dopo aver sposato Ursula de Veramendi,
figlia di un ricco notabile messicano, morta subito dopo in seguito ad
un'epidemia di colera. Noto soprattutto per l'invenzione di un grosso coltello
da caccia dal quale non si separava mai, anche Bowie era stato nominato
colonnello, ma con Travis non andava molto d'accordo. Se tra i due non si arrivò
mai ad uno scontro aperto fu probabilmente perché tutti e due erano massoni da
lunga data e, a modo loro, si rispettavano.
Il terzo colonnello del gruppo
era David Crocket, 50 anni, una vera celebrità già a quel tempo. Ex deputato del
Congresso nelle file dei Wigs, Crocket era una leggenda vivente in tutti gli
Stati Uniti ed era finito in Texas dopo aver perso le elezioni in Tennesse per
un pugno di voti. Si trovava a San Antonio perché, diceva, voleva aiutare i
fratelli americani contro i messicani. E lo fece.
La storia di Alamo inizia
nella mattinata del 23 febbraio 1836 quando l'esercito messicano arrivò nei
pressi di San Antonio. Il primo ad avvistare i soldati di Santa Anna fu lo scout
John Smith, chiamato «El Colorado» a causa dei capelli rossi.
è a lui che il
colonnello Travis affidò il primo messaggio dell'assedio, indirizzato allo stato
maggiore dell'esercito texano comandato da Sam Houston: «Il nemico è arrivato in
gran forze. Vogliamo uomini e provviste. Inviateceli. Abbiamo 150 uomini e siamo
determinati a difendere Alamo fino all'ultimo. Forniteci assistenza» .
Mentre Smith partiva al
galoppo, Travis cominciò a dare i primi ordini per preparare la resistenza tra
le mura di Alamo. Prima di tutto fece evacuare una cinquantina di soldati
messicani feriti, fatti prigionieri in un precedente scontro. In questo modo
permise che si ricongiungessero con il grosso delle truppe di Santa Anna senza
pesare sulle forze americane. Poi mandò Seguin, lo stesso che un anno dopo
provvederà alla sepoltura dei resti, a San Antonio per racimolare quante più
provviste possibili potesse. Mentre gli americani giravano per le strade, le
donne locali piangevano: «Poveri ragazzi - dicevano - sarete tutti ammazzati» .
Furono invece una quarantina i cittadini che preferirono nascondersi dentro
Alamo per evitare di affrontare l'esercito messicano. Fecero appena in tempo,
perché nel pomeriggio gli uomini di Santa Anna avevano già occupato l'area di
San Fernando, la più vicina alla missione, facendo sventolare una bandiera
rossa, segno di non voler dar tregua al nemico, sul pennone del campanile.
Quando la vide, Travis ordinò per tutta risposta che venisse sparata una
cannonata verso la postazione nemica. I messicani replicarono con altre quattro
cannonate e quello fu di fatto il primo scambio di colpi tra i due avversari.
A quanto pare fu anche l'occasione per il primo litigio tra Travis e Bowie.
Il primo voleva aspettare la prima mossa dei messicani, mentre il secondo
intendeva agire subito andando a trattare direttamente con Santa Anna. Essendo
egli stesso il genero di un notabile messicano, Bowie pensava che sarebbe stato
ascoltato. Senza consultare Travis, Bowie mandò il volontario Jamestown con una
missiva diretta personalmente al generale. Ma il risultato fu deludente: di
fronte a un Travis infuriato perché i suoi ordini non erano stati rispettati,
Jamestown tornò con una nota firmata da Josè Batres, il vice di Santa Anna,
nella quale si diceva che «se volevano salvare le loro vite, dovevano mettersi
immediatamente a disposizione del Governo Supremo» . In pratica, dovevano
arrendersi senza condizioni. Rendendosi conto che la situazione era comunque
disperata, lo stesso Travis inviò ai messicani un secondo messaggio, questa
volta affidato ad uno dei suoi uomini più fidati, Albert Martin, da consegnare
al colonnello Juan Almonte, uno degli alti ufficiali dello staff di Santa Anna,
conosciuto e rispettato come gentiluomo in tutto il Texas. Ma Almonte si limitò
a ripetere le condizioni imposte dal suo generale, per cui anche questo
tentativo andò a vuoto.
A quel punto a Travis non restò che radunare gli
uomini per esporre loro la situazione e tutti furono d'accordo per non cedere.
Ancora una volta Travis affidò la sua replica ai cannoni e per risposta i
messicani presero a bombardare sistematicamente la missione producendo non pochi
danni. E mentre le granate colpivano la vecchia chiesa costruita nel 1758 dalla
Flying Company of San Josè y Santiago del Alamo de Parras, il colonnello inviò
un altro messaggio al raggruppamento texano di stanza a Goliad: «Noi porteremo
avanti questa resistenza così come il nostro onore pretende, e anche quello del
Paese» , scrisse Travis al collega Fannin. Ma l'attesa per una risposta si
rivelò vana.
Fu allora che Travis decise di piazzare i suoi cannoni nelle
posizioni strategiche, in particolare sul tetto rinforzato della chiesa dove ne
fece sistemare tre da diciotto libbre l'uno.
C'era anche un altro problema.
All'interno del forte si trovavano ormai anche una quarantina tra malati e
feriti che Travis fece sistemare al secondo piano del convento. Tra questi era
finito anche James Bowie, colpito da una forte febbre tifoidea che lo debilitava
a causa di continui accessi di vomito e diarrea con ingenti perdite ematiche.
Per quanto curato dal dottor Sutherland e assistito dalla cognata Juana Alsbury,
Bowie non si riprenderà più e quindi non parteciperà neanche allo scontro
finale.
Il 24 febbraio i messicani piazzarono una nuova batteria a circa 300
metri da Alamo e

ripresero il bombardamento. Agli americani non restava che
nascondersi tra le mura della missione e aspettare. Travis ne approfittò per
scrivere un nuovo appello che indirizzò al «Popolo del Texas & a Tutti gli
Americani nel Mondo»: «Sono assediato da un migliaio o più di messicani agli
ordini di Santa Anna - Ho sostenuto un continuo bombardamento per 24 ore e non
ho perso un uomo. - Il nemico ci ha chiesto una resa senza condizioni,
altrimenti la guarnigione sarà passata a fil di spada, se il forte verrà preso -
Ho risposto con un colpo di cannone, e la nostra bandiera sventola ancora
orgogliosamente sulle mura. Io non mi arrenderò né mi ritirerò . Allora mi
rivolgo a voi nel nome della Libertà , del patriottismo & di tutto ciò che è
di più caro al carattere americano, affinché veniate in nostro soccorso con la
massima celerità - Il nemico sta ricevendo rinforzi quotidianamente e non c'è
dubbio che arriverà a tre o quattro mila unità nel giro di quattro o cinque
giorni. Se questa mia richiesta non verrà accolta, sono determinato ad andare
avanti da solo il più a lungo possibile e a morire come un soldato che non
dimentica mai ciò che è dovuto al proprio onore e a quello del suo Paese.
Vittoria o Morte» .
La lettera, indirizzata al quartier generale texano
situato a Gonzales, venne affidata ad Albert Martin che con una buona dose di
fortuna riuscì a passare oltre le linee nemiche, perdendosi nell'oscurità .
Dalle mura quella notte Travis lo vide allontanarsi e, mentre la sua mente si
perdeva in mille cupi pensieri, si sorprese ad ascoltare le note di un mesto
«Degüello» che gli giungevano dal campo messicano.
L'indomani il
bombardamento riprese fin dal primo mattino. Circa duecento messicani del
battaglione Permanente Matamoros arrivarono a un centinaio di metri dal forte,
ma gli americani risposero con un fuoco talmente fitto che alla fine gli uomini
di Santa Anna furono costretti a ritirarsi, lasciando una decina di morti sul
campo. Durante l'azione fu particolarmente notato l'onorevole David Crocket,
come Travis chiamava l'ex parlamentare, che correva da un punto all'altro per
incitare gli uomini e far loro coraggio.
Travis, quando si rese conto che i
messicani stavano tastando il terreno in vista dell'assalto decisivo, riprese la
penna e si rivolse direttamente a Sam Houston: «Devo resistere fino alle estreme
conseguenze. Se essi ci sconfiggeranno, noi saremo sacrificati sull'altare del
nostro Paese, e speriamo che i posteri e il nostro Paese renderanno giustizia
alla nostra memoria. Aiutami, Paese mio! Vittoria o morte» .

In
effetti viene il sospetto che Travis scrivesse in modo così enfatico sapendo che
i suoi appelli sarebbero stati pubblicati, ma c'è da dire che egli cercava
comunque di far sapere che la situazione a Alamo era davvero drammatica. Il
problema si poneva sul come far giungere il messaggio a destinazione, visto che
ormai i messicani controllavano l'intera area. E, soprattutto, chi mandare? Tra
l'altro ci voleva qualcuno che parlasse bene lo spagnolo e fu così che gli
uomini della guarnigione votarono Juan Seguìn. Travis non era d'accordo, ma alla
fine capitolò. Seguìn, travestito da campesino, salutò per l'ultima volta i suoi
commilitoni e quella stessa notte si infiltrò tra le linee nemiche.
Quell'operazione, per quanto rischiosa, finì per salvargli la vita.
Mentre i
messicani poco per volta accerchiavano Alamo, a San Felipe il governatore Smith
faceva pubblicare il primo appello di Travis e esortava i texani a «volare» in
difesa di Alamo: «La campagna è cominciata - scrisse Smith - I texani non devono
lasciare che i loro fratelli vengano massacrati da un esercito di mercenari» .
Anche se le file texane si stavano ingrossando di volontari, nel forte
l'attesa si faceva sempre più drammatica. Bowie era ormai allo stremo quando il
29 febbraio un gruppo di volontari che era arrivato con lui andò a trovarlo per
comunicargli che Santa Anna aveva offerto un'amnistia ai difensori di Alamo che
si fossero arresi. «Chi di voi vuole andarsene, è libero di farlo» , disse Bowie
con un fil di voce. E quelli non se lo fecero dire due volte: lo ringraziarono e
uscirono dal forte, salvi.
La notte del primo marzo un violento temporale si
abbattè sulla zona. Alle tre, sotto una pioggia battente, una sentinella si
sentì chiamare e, con sua grande sorpresa, vide John Smith, El Colorado, bussare
alla porta del forte con trentadue uomini: alla fine i rinforzi, se così si
potevano definire, erano arrivati. Il giorno dopo a Brazoria, diverse decine di
chilometri più in là , l'ultimo appello di Travis, «Vittoria o Morte» , veniva
pubblicato sul giornale «Texan Republican» . Ma la spedizione di soccorso era
ben distante dall'essere organizzata. A Washington, dove doveva partecipare a
una convention, Sam Houston continuava a dire che quella di Alamo era «una
maledetta menzogna, e che anche tutti quei rapporti di Travis e Fannin erano
menzogne, visto che là non vi erano forze messicane e che tutta quella
messinscena era soltanto uno stratagemma elettorale studiato da Travis e Fannin
per sostenere la loro popolarità» .
Houston arrivò a insinuare che i
rapporti ricevuti fossero addirittura fatti ad arte dai messicani, per cui, con
la mente offuscata dai litri di whisky che si beveva tutti i giorni (fu visto
diverse volte ubriaco in pubblico), di fatto non fece mai nulla per salvare la
guarnigione di Alamo.
Il 3 Marzo gli americani assediati videro un uomo a
cavallo correre nella prateria sfidando il fuoco dei fucili messicani. Era James
Butler Bonham che portava due messaggi, uno dei quali di Willie Williamson, uno
dei capi della rivolta, scritto alcuni giorni prima a San Felipe. Nella prima
missiva Williamson annunciava l'arrivo di 660 volontari. Nella seconda, forse
scritta da Houston in persona, si diceva invece che le forze presenti a San
Felipe non potevano essere trasferite. In pratica, Alamo veniva abbandonato a se
stesso.
Per Travis era l'ennesimo colpo. Già furente per l'abbandono dei
volontari texani che egli non esitava a definire traditori, quella notizia gli
fece capire che ormai non c'era davvero più nulla da fare. Allora scrisse alcune
lettere che affidò nuovamente a El Colorado, lettere il cui contenuto non fu mai
reso pubblico e nelle quali probabilmente scrisse il suo testamento politico.
Una era indirizzata a Jesse Grimes, un delegato della convenzione di Washington,
un'altra a David Ayers di Montville. A entrambi affidò le sue ultime volontà e,
soprattutto, l'educazione del figlio Charles, 5 anni, avuto dal suo matrimonio
con Rosanna Cato. L'ultima missiva, di cui non si conobbe mai il contenuto, era
per l'amata Rebecca, la donna che aveva intenzione di sposare se solo fosse
riuscito a sopravvivere all'avventura di Alamo. Arriveranno tutte a destino
compiuto, quando le ossa di Travis erano già state incenerite.
Il 4 marzo i
messicani ripresero a bombardare la missione. Il 5 gli americani contarono 334
palle di cannone contro le loro mura. E quella notte un Travis ormai disperato
giocò la sua ultima carta inviando un ultimo messaggero, il giovane James Allen,
nel disperato tentativo di convincere lo stato maggiore americano a mandare
rinforzi. Un rapido censimento delle armi permise di stabilire che nella
missione i 180 americani rimasti avevano in tutto 816 tra pistole e fucili, con
polvere e piombo sufficienti per circa 15 mila colpi, 25 granate da cannone e
duecento baionette: un po' poco per fronteggiare un esercito di quattromila
uomini armati di tutto punto e dotati di artiglieria pesante.

L'attacco decisivo cominciò intorno alle 3 del mattino del 6 marzo. Gli
assediati, stanchi e provati dalla continua tensione, dormivano quasi tutti.
Nessuno, nemmeno le sentinelle, si accorse che oltre un migliaio di soldati
messicani del battaglione Toluca aveva completamente circondato la missione e
pian piano si avvicinava alle mura. Nessuno, nonostante il chiarore della luna,
vide le scale che venivano appoggiate e subito salite dai commandos nemici.
Nessuno si rese conto che la missione era stata invasa fino a quando il primo
«Viva Santa Anna» non squarciò il silenzio della notte. Erano circa le 5,30.
Travis fu svegliato di soprassalto dall'ufficiale J.J. Baugh che irruppe nella
sua camera urlando: «I messicani stanno arrivando!» . Ancora stordito da quelle
poche ore di sonno, Travis arrivò sugli spalti appena in tempo per vedere una
marea di uniformi bianche che si lanciava all'assalto dei suoi uomini. Quando
girò lo sguardo una pallottola di circa due centimetri di diametro lo prese in
piena fronte uccidendolo sul colpo. Il suo corpo, successivamente trafitto anche
da molti colpi di baionetta, cadde vicino ad un cannone e lì restò fino alla
fine della battaglia. Uno ad uno gli americani vennero uccisi tutti: l'ordine
era di non fare prigionieri. Quando i messicani entrarono dentro il convento, in
una stanza trovarono James Bowie ormai agonizzante alla sua terza settimana di
febbre tifoidea. Scambiandolo per uno che si voleva nascondere sotto le coperte,
lo presero a fucilate sul posto facendogli letteralmente saltare la testa.
Sempre più numerosi, cominciarono poi a spingere ciò che restava del gruppo dei
difensori fino all'ingresso della missione. Gli americani furono costretti a
uscire spinti verso l'esterno. Fuori li aspettava la cavalleria messicana
comandata da Ramirez y Sesma che in due cariche successive pose fine a colpi di
lancia anche a quella eroica e disperata sacca di resistenza.
I messicani si
fermarono soltanto quando, abbattendo una porta, si trovarono di fronte a tre
donne e due bambini. Fu una di queste, Susanna Dickenson, che in seguito
testimonierà di aver visto i corpi di Davy Crockett e dei suoi compagni del
Tennessee giacere nella polvere davanti al sagrato della chiesa.
Ma gli
americani avevano venduta cara la pelle. A fronte dei 1600 uomini impiegati
nell'attacco, i messicani morti furono circa duecento e quattrocento i feriti,
tra i quali anche un generale e 28 ufficiali. Settanta di questi feriti morirono
in seguito alle lesioni riportate nella battaglia.
Avvalendosi della
testimonianza di Joe, lo schiavo negro di Travis cui venne risparmiata la vita
proprio a causa del suo stato, Santa Anna volle vedere personalmente i corpi di
Travis, Bowie e Crockett prima di inviare il suo rapporto finale a Città del
Messico. «Il quadro presentato dalla battaglia è straordinario - scrisse Santa
Anna - tra i corpi sono stati trovati il primo e il secondo capo del nemico -
Bowie e Travis - colonnelli come essi stessi si facevano chiamare - nonché
Crockett con lo stesso titolo degli altri due» .
La notizia del massacro di
Alamo giunse a Washington solo l'11 marzo e fece un'impressione enorme. Per Sam
Houston, che non aveva mai creduto alle lettere di Travis, fu un colpo tremendo.
E per quanto si portò dietro per tutta la vita il rimorso di quelle vite
sacrificate, cercò di salvare la faccia sostenendo pubblicamente che «la caduta
di Alamo è stata il risultato di una disobbedienza da parte di Travis e Bowie» .
Ma all'opinione pubblica americana non potevano bastare le sue illazioni e
Houston lo sapeva bene. Fu così che l'esercito texano si ricompattò e il 21
aprile cercò vendetta affrontando in campo aperto le truppe messicane di Santa
Anna a San Jacinto. Prima della battaglia gli ufficiali si rivolsero ai
volontari con tre sole parole:«Remember the Alamo» . Ed è urlando «Alamo! Alamo!
Alamo!» che gli americani, inferiori di numero (800 contro 1.300), in soli venti
minuti di battaglia sgominarono l'esercito messicano facendo prigioniero lo
stesso generale Santa Anna. La rivoluzione era finita e il Texas diventava
indipendente. Nel settembre di quello stesso anno Sam Houston veniva eletto
presidente della Repubblica del Texas e Alamo entrava nella storia e nella
leggenda.
Chi sono i protagonisti
DAVY CROCKETT

Di origini scozzesi, Davy,
come era familiarmente chiamato in tutti gli Stati Uniti, nacque il 17 agosto
1786 a Greene County, nel North Carolina, da John e Rebecca Hawkins. Il padre,
che aveva una taverna, venne nominato connestabile della zona per cui faceva
rispettare le leggi e di tanto in tanto svolgeva anche il compito di magistrato.
Davy non ne voleva sapere della scuola: ai libri preferiva la vita all'aria
aperta e la sua grande passione, la caccia. A 13 anni, temendo l'ira del padre
per aver marinato ancora una volta le lezioni, scappò di casa. La sua principale
caratteristica, come tutti gli riconoscevano, era una naturale affabilità che,
unita all'innata onestà e correttezza di comportamento, lo rendevano subito
simpatico. A casa tornò quattro anni dopo, ormai uomo, e nell'agosto del 1805
sposò la sua diletta Polly Finley dalla quale avrà tre figli: John Wesley,
William e Margaret.
La sua carriera militare inizia in seguito alla strage
del 30 agosto 1813, quando gli indiani Creek assaltano i coloni di Fort Mims e
ne uccidono oltre cinquecento. Il 24 settembre dello stesso anno Davy si arruola
nei Tennessee Volunter Mounted Riflemen e il 3 novembre, nei pressi di
Tallusahatchee, partecipa all'attacco contro i Creek durante il quale restano
sul campo 185 indiani e 5 americani. Assolto il suo compito, si congeda il 24
dicembre con una liquidazione di 65,59 dollari. Ma il 28 settembre 1814 è di
nuovo sotto le armi come terzo sergente dei Mounted Gunmen. Si congederà il 27
marzo 1815 con il grado di quarto sergente e un encomio, ma a maggio viene
nominato tenente della Franklin County Militia. Pochi mesi di serenità e la vita
gli riserva una ben triste tappa. In estate, colpita dal tifo e dagli stenti
della vita di frontiera, la moglie Polly muore. Rendendosi conto di non poter
portare avanti la famiglia senza una donna (la figlia Margaret era ancora in
fasce) dopo alcuni mesi sposa la vedova Elizabeth Patton che aveva già due
figli.
La nuova famiglia Crockett si trasferisce nel villaggio di
Lawrenceburg dove il 27 marzo 1817 Davy vince le elezioni come tenente
colonnello del 57° reggimento della milizia e il 25 novembre viene nominato
giudice di pace, il suo primo incarico pubblico. Da quel momento Davy Crockett
scopre il suo nuovo destino. Nel 1821 viene eletto come rappresentante della
Lawrence County nell'assemblea dello stato e nel 1827 diventa deputato del Whig
Party (liberali) nel Congresso degli Stati Uniti. A fasi alterne, Davy resterà
nel Congresso fino al 1836 quando, sconfitto, decide di partire per il Texas.
Durante quei dieci anni Davy Crockett diventa una figura leggendaria in
tutta la nazione. Autore del volume «A narrative of the life of David Crockett,
of the State of Tennesse» (1834), il deputato del West impone una nuova visuale
alla cultura americana, fino ad allora ristretta nei canoni dello stile
britannico. Davy Crockett è un uomo senza cultura accademica, intriso di valori
semplici e popolari nei quali si riconosce la maggior parte degli americani. Se
prima viene dunque sbeffeggiato dai colleghi deputati per le sue «eccentricità»
(la maggioranza dei rappresentanti era costituita da avvocati e figure
professionali), subito dopo i suoi stessi nemici devono rendersi conto che con
quel modello tanto popolano dovevano in effetti fare i conti, anche a livello di
voti. Crockett arriva addirittura a sfiorare la candidatura alla presidenza
degli Stati Uniti e, se non fosse stato bocciato dagli elettori per un pugno di
voti, forse ce l'avrebbe fatta.
La sua amarezza era accentuata dal fatto di
non essere riuscito a far passare una legge che avrebbe assegnato a prezzo
politico la terra ai coloni. Neanche il suo stesso partito, che si diceva
rappresentante delle classi meno abbienti, voleva rinunciare a quel grande
business che era la speculazione terriera.
WILLIAM BARRET TRAVIS

Il futuro comandante di Alamo
nasce il primo agosto del 1809 in Alabama da Mark Travis e Jemina Stallworth.
Aveva nove fratelli. Notando una chiara inclinazione intellettuale, i genitori
lo iscrivono alla Sparta Academy della quale lo zio Alexander Travis era
sovrintendente. Terminati gli anni delle scuole superiori, William frequenta
l'Accademia universitaria del professor William H. Mc Curdy nella nuova Monroe
County. Concluso il ciclo accademico, il giovane diventa allievo del giudice
James Dellet che gli insegna tutti i trucchi della professione forense.
Per
quanto appena diciannovenne, il 26 ottobre 1828 William Barret Travis sposa la
sedicenne Rosanna Cato che due mesi dopo gli darà un figlio, Charles Edward.
A quel tempo il giovane avvocato guadagnava in tutto 65 dollari al mese,
poco per il tipo di vita lussuosa che egli intendeva fare. Tra l'altro era
diventato editore-direttore-redattore del quotidiano «Clairborne Herald» ,
giornale che non riusciva nemmeno a seguire visto che non poteva contare su
alcuna collaborazione. A quel tempo la città di Clairborne era abitata da 453
bianchi e 382 tra schiavi e negri liberi. Tutta la Monroe County aveva 8.782
abitanti.
Nel febbraio 1829, nonostante l'impegno del quotidiano, Travis si
apre uno studio di avvocato. Si rende conto, però, che per avere clienti deve
entrare nel giro giusto e allora qualche mese dopo, a giugno, nonostante non
abbia ancora i 21 anni richiesti, entra nella Clairbornès Alabama Lodge no.3
della massoneria americana come apprendista. Un mese dopo diventa compagno e ad
agosto può fregiarsi del titolo di maestro massone.
Due anni dopo,
esattamente il 3 gennaio del 1831, diventa aiutante del 26° Reggimento, ottava
brigata, quarta divisione, della milizia locale. Ma ormai i debiti sono
diventati una marea e Travis rischia di essere imprigionato per insolvenza.
Nell'aprile del 1831 lascia quindi la moglie incinta di un secondo figlio
(nascerà una bambina che il padre non conoscerà mai) e il piccolo Charles e
fugge in Texas. Qui si stabilisce nella cittadina di Anahuac dove si apre uno
studio d'avvocato e dove vivrà fino all'epilogo di Alamo.
JAMES BOWIE

James Bowie nasce nella
primavera del 1796 a Terrapin Creek, nella Louisiana francese, dal presbiteriano
Rezin Bowie e dalla metodista Elve Catesby Jones. Aveva cinque fratelli.
Nel
1803 il presidente Jefferson acquista la Louisiana dalla Francia. L'8 gennaio
1815 James si arruola insieme al fratello Rezin nella compagnia del capitano
Coleman A. Martin che darà poi forma ai 17°, 18° e 19° Consolidated Louisiana
Militia Regiments. I due fratelli stanno sotto le armi soltanto per due mesi e
23 giorni ricevendo ognuno 23,93 dollari di paga.
Sono tempi di grandi
cambiamenti. Nel 1808 il Congresso degli Stati Uniti aveva abolito il traffico
di schiavi dall'Africa. Nel 1821, in barba alla legge, James riesce a piazzare
una notevole quantità di schiavi di «contrabbando» al pirata Jean Lafitte
ricavando un profitto di 65.000 dollari che divide con altri due fratelli.
è
l'inizio dell'attività illegale di James Bowie. Sfruttando un atto del Congresso
dell'11 maggio 1820 con il quale si riconosceva la validità dei titoli di
proprietà dei terreni rilasciati dalla precedente amministrazione spagnola,
James comincia a fabbricare in grande stile tutta una serie di titoli falsi che
alla fine coprono un insieme di 65 mila acri, pari a cento miglia quadrate di
Louisiana. Tra l'altro per lo stesso governo americano si tratta di un reato del
tutto nuovo per il quale non sono nemmeno previste pene adeguate. Bowie si
sposta anche in Arkansas dove mette in circolazione altri titoli falsi per un
totale di 60 mila acri.
Nel 1828, contando ormai su una certa ricchezza e una discreta per quanto dubbia
notorietà nel mondo degli affari le cui porte gli sono state aperte dall'aderenza
alla massoneria, tenta di candidarsi al Congresso, ma gli va male. Messo alle
strette dal Governo che comincia a indagare a fondo sui falsi titoli, alla fine
Bowie è costretto a fuggire in Texas dove sposa Ursula de Veramendi, figlia
diciottenne del notabile e futuro governatore Juan Martin de Veramendi. Moglie
e suocero moriranno poco dopo a causa di un'epidemia di colera. A quel punto Bowie,
ormai texano di adozione, viene nominato colonnello della milizia e finisce ad
Alamo dove terminerà la sua avventura terrena.
(Illustrazioni tratte da "Three roads to the Alamo"
di William C. Davis, Harper Collins Publishers, New York 1998, ISBN 9780060930943, e da Microsoft
Encyclopedia Encarta 1999)
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