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(Fondazione Informa, n°2, Pubblicato nel 2003)
Alla
fine del maggio scorso una notizia pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica
americana "Cell" ha fatto il giro
del mondo provocando un'ondata di entusiasmo negli scienziati che da trent'anni
stanno cercando di scoprire i lati ancora oscuri delle cellule staminali. Nell'articolo,
scritto con la consueta chiarezza e precisione, si annunciava che due équipe
di scienziati scozzesi e giapponesi hanno individuato il cosiddetto "gene
maestro" delle cellule staminali embrionali (note come ES). La scoperta,
fatta dai ricercatori dell'Università di Edimburgo, in Scozia, e da quelli dell'Istituto
giapponese di scienza e tecnologia di Nara, è stata subito considerata una pietra
miliare nella storia della scienza e in particolare della biologia. Il perché
lo spiega la stessa rivista americana sostenendo che ad essere stato scoperto
è il gene che attiva la pluripotenzialità delle cellule staminali, e cioè la
capacità di proliferare durante tutta la vita dell'individuo. Tradotto in linguaggio
corrente, ciò significa che adesso gli scienziati sono più vicini alla possibilità
di trasformare qualsiasi cellula ordinaria dell'organismo umano in una cellula
staminale eliminando, nel tempo, la necessità delle controverse
ricerche sugli embrioni umani. Anche se, si legge sempre nell'articolo, è anche
vero che da questo momento in poi gli studi sugli embrioni saranno ancora più
necessari proprio per poter analizzare, in azione nel suo elemento naturale,
il "gene maestro".
Non per nulla gli scienziati scopritori lo hanno chiamato "Nanog"
con esplicito riferimento alla mitica terra celtica di "Tir Nan Og"
i cui abitanti, per qualche strana magia della natura, restavano sempre giovani.
Il "Nanog" è stato studiato sia su embrioni di topi che umani e la
conclusione è che si tratta proprio di quel gene che controlla una serie di
attività di numerosi altri geni contenuti nelle cellule staminali. "Questa
scoperta – afferma il professor James Thomson dell'Università del Wisconsin,
negli Stati Uniti, lo scienziato che per primo nel 1998 ha isolato le cellule
embrionali staminali - è un importante passo verso l'obiettivo di poter riprogrammare
ogni cellula a divenire una cellula staminale".
Ma cosa sono le cellule staminali e perché il mondo della scienza dà tanta importanza
alla ricerca che le riguarda? Senza addentrarci troppo nell'ambito scientifico,
basti dire che le recenti scoperte sulle cellule staminali consentono di curare,
attraverso il trapianto di midollo osseo, patologie che fino a non troppo tempo
fa erano letali come la leucemia, la talassemia e alcune forme tumorali. Anche
se gli scienziati si guardano bene dal lasciarsi andare a promesse miracolistiche
o a prefigurare risultati che per il momento non sono ancora garantibili.
Un
esempio è lo studio presentato ai primi di giugno a Chicago dove era in corso
il congresso dell'American Society of Clinical Oncology. In quell'occasione
alcuni ricercatori del National Cancer Institut di Bethesda hanno annunciato
di aver ottenuto risultati positivi dopo aver impiantato cellule staminali (prelevate
da donatori compatibili) in donne malate di cancro al seno, dopo la chemioterapia.
Come ha spiegato Michael Bishop, relatore dello studio, le cellule trapiantate
potenziano il sistema immunitario delle donne riceventi malate e attivano a
loro volta cellule che attaccano il tumore e lo controllano. Si tratta, però,
di uno studio assolutamente preliminare in quanto, come ha ammesso lo stesso
Bishop, in alcune delle donne trattate con le cellule staminali si è osservata
una riduzione del tumore, in altre una stabilizzazione della malattia e in due
di esse il decorso negativo è continuato.
"L'ipotesi allo studio è interessante – afferma il noto oncologo
Umberto Veronesi, presente ai lavori di Chicago – non tanto per i tumori
in fase avanzata, ma per quelli ai primi stadi. Ma è un'ipotesi complicata e
attualmente molto rischiosa e costosissima".
In attesa che la ricerca diventi applicazione clinica, non ci resta che la soluzione
dei trapianti dove, però, i problemi non mancano davvero. Parlando nell'ambito
nazionale, infatti, ogni anno in Italia si fanno circa tremila trapianti a fronte
di diecimila pazienti in lista d'attesa. Ciò significa, come ha recentemente
spiegato sul Corriere della Sera il professor Giuseppe Remuzzi, direttore del
Dipartimento Trapianti Ospedali Riuniti di Bergamo, che ogni giorno in Italia
muoiono tre persone in lista d'attesa per un rene e oltre trenta malati che
nella lista ci dovevano ancora finire. Che cosa fare, dunque, per porre fine
a questa tanto silenziosa quanto tragica strage? "In Italia i donatori
sono 18 ogni milione di abitante – risponde il ministro della Salute Girolamo
Sirchia – e contiamo di arrivare a 25 nei prossimi anni. Non dobbiamo
illuderci però di soddisfare la richiesta di organi solo in questo modo. L'altra
soluzione è la riparazione dei tessuti con le cellule staminali. Occorre incentivare
la ricerca".
Tanto per restare nell'ambito della realtà ligure, nei primi di giugno il Dipartimento
Trapianti dell'Ospedale San Martino ha festeggiato a Palazzo Ducale i primi
1005 trapianti di rene, di cui 279 pediatrici, 396 di fegato e 44 di pancreas,
dal 1986 ad oggi. Un ottimo risultato, si direbbe, se, come ha spiegato il professor
Umberto Valente, direttore dello stesso Dipartimento, non si dovesse registrare
che attualmente in Liguria ci sono 300 persone in lista d'attesa, dei quali
250 per il rene e 50 per il fegato. E tutti, proprio tutti, sperano di trovare
in tempo un donatore oppure che la ricerca sulle cellule staminali bruci le
tappe e che consenta loro di tornare a vivere come una volta.
Nasce da questo quadro umano ricco di speranza per il futuro il "Progetto
Cellule Staminali Genova" il cui protocollo d'intesa, finalizzato
ad avviare un'iniziativa comune di ricerca in ambito biomedico, è stato recentemente
siglato da Università di Genova, Azienda Ospedaliera San Martino, Istituto Nazionale
per la Ricerca sul Cancro e Istituto Giannina Gaslini. Per essere più precisi,
il Progetto sarà realizzato dal Centro Trapianti dell'Ospedale San Martino,
dal Centro dell'Istituto Gaslini, dal Dipartimento di Medicina Sperimentale
dell'Ateneo genovese e dal Laboratorio di Genetica Umana dell'Ist. Un'iniziativa,
quella del Progetto, che non sarebbe stata possibile senza il finanziamento
della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia che, con un contributo
triennale di 2 milioni e 65 mila euro (pari a 4 miliardi di vecchie lire), pone
di fatto Genova ai primi posti della ricerca scientifica in campo nazionale
e internazionale.
"Si tratta – spiega il professor Vincenzo Lorenzelli, presidente
della Fondazione Carige – di un'avvincente sfida culturale e tecnologica
che scaturisce da un'esperienza ventennale di sperimentazione maturata a Genova
grazie alle competenze e al know-how di importanti team di ricerca guidati da
scienziati di altissimo livello come Andrea Bacigalupo, Antonio De Flora, Lucio
Luzzato e Alberto Marmont. Una sfida che non vogliamo perdere".
Ma vediamo appunto cos'è questo progetto e quali sono le sue finalità.
Prima di tutto bisogna chiarire che il concetto stesso di cellula staminale
è piuttosto antico visto che lo si ritrova già nel 1917 nell'ematologia tedesca.
In origine si pensava che ci dovessero essere cellule staminali specializzate
per ognuno dei 260 tessuti che compongono l'organismo umano, ma questo dogma
è caduto definitivamente quando gli scienziati sono riusciti a dimostrare che
cellule staminali, ad esempio, del sistema nervoso centrale di animali da esperimento,
se trasferite nella milza degli stessi, erano in grado di "dimenticare"
il loro compito originario di produzione di neuroni e simili e di "apprendere"
invece a produrre elementi sanguigni. All'epoca questa fu una scoperta incredibile
e fece immediatamente il giro della comunità scientifica mondiale sotto la suggestiva
definizione di "turning brain into blood", e cioè trasformare il cervello
(in questo caso le cellule del sistema nervoso) in sangue.
A questo punto si cominciavano a porre i primi interrogativi. Ci si chiedeva,
ad esempio, se le cellule staminali potessero riparare le cellule nervose danneggiate
come accade con il morbo d'Alzheimer, il morbo di Parkinson e altre malattie
simili. Potevano guarire le malattie neuromuscolari, come le distrofie? E potevano
rigenerare cellule epatiche in tutti quei casi dove il fegato risultava gravemente
danneggiato? E ancora: le staminali possono rigenerare miociti cardiaci ridotti
a malpartito da pregressi infarti?
Le prospettive, come si può intuire, sono davvero infinite. In un futuro forse
non troppo distante, sostengono sempre gli scienziati, sarà forse possibile
prelevare da un adulto una cellula somatica e coltivarla in modo da farla tornare
indifferenziata e quindi "plasmabile". Da questo processo si otterrebbe
un nuovo tipo di cellule che potrebbero essere reimpiantate nel corpo del paziente
oppure coltivate fino a ottenere la produzione di nuovi tessuti o addirittura
organi. Non solo: in campo oncologico si potranno far riacquistare funzioni
utili a cellule che le hanno perse e in questo modo modificare la progressione
dei tumori fino alla completa reversione e alla normale riprogrammazione delle
normali attività cellulari.
L'applicazione terapeutica delle cellule staminali incontra però due problemi
di non lieve entità, almeno per il momento. La prima è quella della non facile
reperibilità di cellule staminali nelle persone adulte. Questo significa che
le cellule possono essere isolate solo da embrioni, con tutte le conseguenze
etiche del caso. In Europa, per esempio, soltanto l'Inghilterra consente il
prelievo di cellule staminali dagli embrioni. La seconda è relativa a eventuali
incompatibilità di carattere immunologico tra i nuovi tessuti generati dalle
cellule staminali e il paziente che li riceve. La difficoltà potrebbe essere
superata impiegando le stesse cellule dell'individuo sotto cura, sempre che
si riescano a ottenere. E qui si apre un'altra rivoluzionaria prospettiva. Infatti
ogni singola persona potrebbe essere curata utilizzando le cellule del proprio
cordone ombelicale congelate alla nascita. Questo significa che in una società
tecnologicamente evoluta potrebbe crearsi una specie di "banca dei cordoni
ombelicali" alla quale ognuno potrebbe accedere in caso di particolari
problemi di salute.
La plasticità delle cellule staminali, come spiegano gli scienziati che stanno
dando vita al Progetto genovese, è dunque davvero immensa. Proprio per giungere
ad un impiego clinico-applicativo le cui potenzialità non si riescono nemmeno
ad immaginare tante potrebbero essere, i responsabili del "Progetto Cellule
Staminali Genova" si sono proposti di perseguire alcuni precisi obiettivi
di ricerca. Il primo è la caratterizzazione delle potenzialità delle cellule
staminali e la loro capacità sia di espansione che di amplificazione. Il secondo
è la valutazione della plasticità delle cellule staminali ematopoietiche (cioè
quelle che possono dare origine a cellule di altri tessuti) e della capacità
delle cellule mesenchimali (cioè quelle che provengono dal tessuto connettivale
embrionale) di migliorare la funzione ematopoietica e di modulare la tolleranza
nel trapianto di cellule ematopoietiche. Il terzo riguarda la possibilità di
trasferire geni per conferire alle cellule staminali ematopoietiche nuove funzioni,
o esaltare geni "vantaggiosi", o correggere difetti genetici. Il quarto
e ultimo obiettivo di ricerca concerne l'applicabilità nella pratica clinica
dei primi tre obiettivi.
"Il sogno nel cassetto è proprio quello – spiega il professor Antonio
De Flora, ordinario di Biochimica presso l'Università di Genova e un veterano
nel campo della ricerca – come dare origine a nuovi tessuti. Nemmeno da
parlare di clonazione. è difficilissimo riprodurre tessuti, e i problemi
da risolvere sono numerosi. Ad esempio, quali sono le cellule staminali migliori?
Sono quelle adulte (e cioè quelle del cervello, del midollo o del fegato) oppure
quelle provenienti
dagli embrioni congelati? Certamente queste ultime offrono maggiori potenzialità,
ma possono essere fonte di pericoli. Non dimentichiamo, infatti, che le riceviamo
dall'estero mentre in Italia non possono essere prelevate. E le cellule adulte,
quelle su cui si lavora normalmente, sono molto più difficili da amplificare.
Ecco, il punto è proprio questo: la riproduttività è il problema principale.
Per il momento non ne comprendiamo bene il meccanismo, ma non c'è dubbio che
col tempo ci riusciremo. La ricerca ovviamente è imprevedibile, ma sono sicuro
che entro dieci anni, forse prima, l'applicazione clinica delle cellule staminali
sarà una realtà".
Di tutte queste cose si discuterà nel convegno internazionale che si svolgerà
il 19 e il 20 novembre del 2004 a Palazzo Ducale nell'ambito delle manifestazioni
per Genova capitale europea della cultura. "Vi parteciperanno scienziati
provenienti da ogni parte del mondo – spiega il professor Marmont, cuore
della prestigiosa iniziativa organizzata dall'Associazione Aritmo (Associazione
ricerca per il trapianto di midollo osseo) – e sarà un'occasione per dibattere
problemi che, contrariamente a quanto si possa pensare, non riguardano soltanto
il mondo scientifico ma l'intera umanità. Perché la ricerca sulle cellule staminali
può davvero cambiare la vita degli uomini. E sono particolarmente orgoglioso
che il convegno si svolga qui a Genova perché in questo modo la nostra città
avrà modo di confermare ulteriormente il proprio ruolo di primo piano nella
ricerca scientifica nazionale e internazionale".
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