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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE
(Il Giornale, Pubblicato Martedì 28 Ottobre 2008)
Le
recenti dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini circa l'antifascismo
che chiunque dovrebbe provare se si riconosce nella democrazia e nei valori
della Costituzione italiana, anche appartenendo alla destra parlamentare, pone
fine ad un annoso conflitto ideologico che per tanti anni ha diviso la politica
italiana. La dittatura fascista non ha nulla a che vedere con la libera espressione
delle idee politiche, così come vengono manifestate da chi vive in un
paese democratico. Vero è che, a fronte della coraggiosa presa di posizione
di colui che è stato il principale esponente di un partito come l'ex
Movimento Sociale, non se ne registra nessuna da parte di coloro che invece
hanno avuto incarichi di primo piano nell'ex Partito Comunista Italiano.
Fino ad oggi, nessuno se l'è sentita di ammettere pubblicamente
che il comunismo era, è e sempre sarà una dittatura che non tollera
alcuna libertà d'espressione. Invece, ancora oggi c'è
chi spaccia l'antifascismo come una specie di bandiera dietro la quale
nascondere interessi politici fin troppo evidenti.
L'emblema di questa strategia è stata, finora, la Resistenza. Il
movimento partigiano, nato come apolitico e in reazione all'occupazione
tedesca dopo l'8 settembre del '43, non aveva alcuna precisa connotazione
partitica. Tuttavia, fin dal primo dopoguerra, i comunisti hanno cercato di
vendere all'opinione pubblica la versione del “c'eravamo solo
noi”, ignorando volutamente tutti coloro, ed erano tanti, che non solo
non erano della loro fede politica, ma addirittura l'avversavano apertamente.
In questo periodo l'editore De Ferrari ha dato alle stampe il libro “Dizionario
della Resistenza in Liguria – Protagonisti, luoghi, eventi, organismi,
formazioni”, curato da Franco Gimelli e Paolo Battifora con l'assistenza
dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell'età
contemporanea.
Bisogna leggerlo questo libro per capire come fu eterogeneo il movimento della
Resistenza, come in effetti si trattò di una guerra civile che mise italiani
contro italiani, in un bagno di sangue senza precedenti. E i comunisti, quelli
che già allora si qualificavano come tali, furono soltanto una parte
di coloro che combatterono, uccisero e vennero uccisi per costruire quella stessa
società in cui oggi noi stiamo vivendo.
Un esempio fu senza dubbio Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”,
che venne definito “il primo partigiano d'Italia”. Nato a
Genova il 17 settembre 1921, ufficiale del 15° Reggimento del Genio a Chiavari
fino al fatidico 8 settembre, era conosciuto come uomo “di carattere solido
e tendente all'introspezione, profondamente legato ai principi della morale
cristiana e allo spirito evangelico”. “Bisagno”, comandante
e capo carismatico della divisione Cichero, diede parecchio filo da torcere
ai comunisti. Una prova fu quando arrestò e fece processare una banda
di partigiani comandati da Gaspare CiameraniK, uno sloveno conosciuto come “il
croato”, che sottoponeva a ogni genere di angherie la popolazione contadina
della Val Trebbia. Furono tutti disarmati e espulsi. “Bisagno” morì
per un banale incidente a Desenzano, nel Bresciano, il 21 maggio del 1945. Cadde
dal tetto di un camion, dissero i testimoni oculari, restando travolto dalle
ruote. Qualcuno ha sospettato che fossero i comunisti a volerlo morto, ma non
ci furono mai prove in questo senso.
Che dire poi di “Riccardo Pittaluga”, nome di battaglia di Paolo
Emilio Taviani, che qualcuno conosce soltanto come grande intellettuale e politico.
Taviani aveva tre lauree: una in giurisprudenza presa nel 1934 all'Università
di Genova, una in Scienze Sociali nel 1936 all'Università di Pisa
e una in filosofia nel 1938 all'Università cattolica di Milano.
Ma era anche un militare, in quanto nel 1936-37 aveva frequentato il corso allievi
ufficiali di artiglieria d'armata a Moncalieri (Torino). Nel 1940 aveva
il grado di tenente ed era in congedo provvisorio. Sulle sue opinioni politiche
non esistono dubbi. Dopo aver fondato il Partito democratico sociale cristiano
della Liguria, dopo il 25 luglio partecipa al Comitato dei partiti antifascisti
genovesi e, dopo l'8 settembre, entra nel Comitato di liberazione nazionale
genovese in rappresentanza della Democrazia Cristiana. Fu lui che la mattina
del 26 aprile 1945 fece lo storico annuncio alla radio: “Genova è
libera: popolo genovese esulta! Per la prima volta nella storia di questa guerra,
un corpo d'esercito si è arreso dinanzi alle forze spontanee di
un popolo: il popolo genovese”.
Ma oltre ai grandi nomi, nel libro si trovano anche le storie oscure di tanti
uomini. Uno, ad esempio, è Raimondo Saverino da Licata (Agrigento), soldato
del 241° Reggimento fanteria Imperia, che dopo essere tornato dalla Grecia,
si aggrega ai partigiani della Cichero. Il 21 maggio 1944 venne catturato dalle
Brigate Nere a Borzonasca e condannato alla fucilazione. Venne passato per le
armi quella sera stessa, ma nessuno dei fascisti lo volle colpire al petto o
alla testa. Per qualche oscura ragione, fu colpito solo alle gambe. Invece di
finirlo, lo lasciarono morire dissanguato. Aveva 21 anni. Fu il primo martire
della Cichero e al suo nome dedicarono il secondo distaccamento della formazione.
E che dire poi di Francesco Repetto, segretario del cardinale Piero Boetto.
Si distinse per l'opera di soccorso prestata agli ebrei e nel 1976 venne
definito “Giusto fra le Nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme,
l'istituto che conferisce questo riconoscimento.
Ci fu anche chi concluse la propria breve esistenza in un campo di sterminio.
Come Enrico Agostino Poggi, di Sestri Levante, del Partito d'Azione. Arrestato
dalle SS, finisce a Mauthausen dove viene lasciato morire di stenti nell'infermeria
del campo. Aveva 30 anni.
Insomma, un libro tutto da leggere per non dimenticare un pezzo della nostra
storia.
“Dizionario della Resistenza in Liguria – Protagonisti, luoghi, eventi, organismi, formazioni”, a cura di Franco Gimelli e Paolo Battifora, De Ferrari Editore, 2008, pp. 407, ISBN 9788871728575, €60,00.
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