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(Il Giornale, Pubblicato Martedì 18 Giugno 1996)
Una volta si
usava dire che in Italia è vietato parlare male di Garibaldi. E l'Eroe
dei due mondi, dall'alto delle statue che si ergono sulle piazze di quasi tutte
le città italiane, controllava che la sua reputazione non venisse messa
in discussione. Ai nostri giorni, parafrasando l'antico detto garibaldino, si
potrebbe dire che in Italia è vietato parlare, a prescindere che se ne
dica bene o male, di un altro ligure illustre: Sandro Pertini. Infatti basta
che chiunque si azzardi a prendere qualunque iniziativa che riguardi il «Presidente
più amato dagli italiani» e subito salta su la vedova, la signora
Carla Voltolina, a bloccarla. Per la signora Voltolina, a quanto pare, Sandro
Pertini non fu uno dei padri di questa sgangherata e rissosa Repubblica (ma
pur sempre una Repubblica), e quindi una figura storica che appartiene al patrimonio
culturale di questo Paese, bensì un marito passato nel mondo dei più
e del quale lei deve difendere l'immagine contro tutto e contro tutti. Insomma,
un fatto privato.
I suoi veti non risparmiano nessuno. Ne sanno qualcosa i dirigenti della Rai
che, dopo aver realizzato uno sceneggiato televisivo su Pertini giovane spendendo
quasi sei miliardi, sono stati costretti a mettere il filmato in magazzino in
attesa di tempi migliori.
In questi giorni a fare i conti con la signora Voltolina ci si è trovato
anche Fulvio Cerofolini, presidente del Consiglio regionale ligure. Cerofolini,
ex sindaco di Genova ed ex deputato del Psi, era amico di Pertini. Insieme avevano
fatto molte battaglie politiche e adesso, approfittando del fatto che il 25
settembre ricorrerà il centenario della nascita dell'amico scomparso,
il politico genovese ha istituito un comitato per celebrare l'anniversario.
Per quell'occasione Cerofolini avrebbe voluto presentare un libro con 48 lettere
inedite che Pertini inviò alla sorella Marion dal 1926 al 1947, e cioè
dal periodo del suo primo arresto fino a quando non entrò a far parte
dell'Assemblea costituente di quella che diventerà la Repubblica Italiana.
Quel libro fu curato dall'estensore di questo articolo.
A
scoprire queste lettere è stata la nipote di Pertini, Alda Tonna Villaggio,
figlia di Marion. Un giorno, scartabellando tra i documenti della madre, la
signora Villaggio trovò un pacco di vecchie buste ingiallite e, incuriosita,
si mise a leggerle. Erano appunto le lettere che Sandro Pertini aveva inviato
alla sorella Marion, alla quale era attaccatissimo, durante tutto il periodo
della sua detenzione nelle carceri fasciste e successivamente al confino. Pertini,
infatti, spese in prigione 14 anni della sua vita, ed esattamente dal 1929 al
1943. In quel lungo periodo l'unico conforto gli era dato appunto dalla sorella
con cui si confidava e alla quale esprimeva, nella scomoda situazione in cui
si trovava, i sentimenti più profondi. Per usare in prestito un'espressione
napoletana, sono parole scritte «con il cuore in mano» .
La signora Villaggio pensò dunque di far diventare quelle lettere un
libro con il duplice scopo di rendere omaggio alla memoria della madre e di
far conoscere al grande pubblico un aspetto inedito di Pertini: l'uomo e i suoi
affetti.
Cerofolini, quando lesse il libro, ne fu entusiasta. Tanto che voleva presentarlo
sotto l'egida della Regione Liguria. Ma l'entusiasmo gli passò d'incanto
quando ricevette una netta diffida dalla signora Voltolina. «Quel libro»
, disse pressappoco la vedova Pertini «non s'ha da pubblicare» .
«Ha chiamato anche me, ed è irremovibile» , conferma la nipote
acquisita. «Mi ha telefonato dal Quirinale, dove ha ancora un ufficio,
e mi ha detto che non vuole assolutamente che quel libro veda la luce. Del resto
che cosa posso fare per farle cambiare idea? Io sono soltanto una casalinga
e lei è la vedova di un Presidente della Repubblica. A questo punto,
visto che la conosco da cinquant'anni, non nascondo di essere spaventata per
quanto lei potrebbe fare se autorizzassi la pubblicazione di quel volume. Ma
sono anche perplessa. Infatti nel libro non c'è nulla che possa offendere
la memoria di mio zio. Tutto quello che è scritto è vero, anzi
è lui stesso a raccontarlo con le sue parole. Inoltre in quelle lettere
si parla di un periodo in cui la Carla non esisteva ancora» .
A parte il fatto dell'ufficio al Quirinale (sarebbe interessante sapere se tutte
le mogli degli ex Presidenti della Repubblica abbiano diritto a mantenere al
Quirinale un ufficio con uso telefono a spese dei contribuenti, visto poi che
la Voltolina a suo tempo non ci volle neanche abitare), c'è da domandarsi
come mai quelle lettere tolgano il sonno alla vedova Pertini. Una possibile
spiegazione potrebbe essere il fatto che nel 1990, subito dopo la morte del
Presidente, la signora Voltolina fece pubblicare dalla Fondazione Turati un'opera
in due volumi intitolata «Tutte le lettere e gli scritti di Sandro Pertini»
. A presentarla venne chiamato Norberto Bobbio il quale non poteva sospettare,
come non lo sospettava la stessa vedova, che nel cassetto di un comò
in quel di Pegli, quartiere residenziale della Grande Genova, c'erano altre
48 lettere che gettavano una luce ben diversa sul personaggio Pertini: non più
l'uomo politico, ma semplicemente l'uomo.
Ma quali sono i contenuti
di quelle lettere, e perché la signora Voltolina si oppone così
fermamente alla loro pubblicazione? Ad urtare la vedova Pertini probabilmente
sono tre cose. La prima è l'esigenza di dover far riscrivere parzialmente
la storia ufficiale per quanto riguarda il reclutamento di Sandro Pertini nel
movimento clandestino antifascista. La seconda è la «seccatura»
di veder reso pubblico il lato sentimentale del defunto capo di Stato. La terza
ha a che fare con la « messa in piazza» delle ex fidanzate di Pertini.
Del resto che a Pertini piacessero le belle donne lo sanno bene tutti coloro
che lo hanno conosciuto da vicino, e questo «dettaglio» , caso mai,
lo rende ancora più simpatico. Inoltre non bisogna dimenticare che quando
il partigiano Pertini incontrò la giovane Carla Voltolina aveva ormai
una cinquantina d'anni e tutta una vita alle spalle.
Ma andiamo per ordine. Il 4 dicembre 1926 la Commissione provinciale della regia
prefettura di Genova aveva condannato l'allora sconosciuto aspirante procuratore
legale di Savona a cinque anni di confino di polizia in una colonia. Pertini,
sapendo che la condanna era nell'aria, una settimana prima aveva lasciato la
Liguria per entrare nella clandestinità a Milano. Secondo alcuni storici,
in Lombardia il fuggiasco entrò subito in contatto con gli esponenti
del Partito socialista unificato, e in particolare con Ferruccio Parri e i fratelli
Rosselli, con i quali organizzò la fuga dall'Italia di Filippo Turati,
che era inseguito da un ordine di arresto.
Le cose, a leggere le lettere di Pertini, non andarono esattamente così
. Quando il socialista ligure giunse a Milano, i compagni di partito gli fecero
molte promesse, ma nessuno mosse un dito per aiutarlo. La cosa lo amareggiò
molto. Ma quello che fece più male a «Sandrino» , come lo
chiamavano amici e parenti, fu il sospetto che a tradirlo, denunciandolo alle
autorità del regime, fosse stato suo fratello Giuseppe, detto Pippo,
ardente fascista e futuro podestà di Stella San Giovanni, il paese d'origine
dei Pertini. Del resto nella famiglia di agiati borghesi Muzio-Pertini, quel
giovane e focoso socialista non era troppo ben visto per le sue idee. Anche
la madre, Maria Muzio, cercò di dissuaderlo; ma l'ostinazione del figlio
le fece ben presto cambiare idea. Sentiamo direttamente dalle parole di Sandro
Pertini come andarono realmente le cose. La lettera è del primo dicembre
1926 e fu scritta a Milano, probabilmente in quell'albergo diurno Cobianchi
di piazza Duomo dove il fuggiasco spesso si recava per poter scrivere tranquillamente.
A quell'epoca Sandro aveva 30 anni, Marion 28 e proprio in quei giorni stava
per sposarsi con Aldo Tonna, un giovane che lavorava per il ministero degli
Esteri con la funzione di segretario del Consolato italiano di Rotterdam.
"Grazie
Marion, della tua buona parola, ne avevo bisogno. L'ho trovata qui a Milano
la tua lettera ieri, dopo giorni penosi trascorsi tra gli stenti in cerca di
un lavoro. Se tu sapessi, Marion, quanto è difficile la vita oggi per
noi, come è brutto trovarsi soli per il mondo. Ho sofferto quello che
un uomo può soffrire, anche la fame. Oh, perdono a Pippo il male che
mi ha fatto, non gli auguro di soffrire la decima parte delle mie sofferenze,
ma sappia che male ha agito. è stupido e sciocco, per non dire mostruoso, giustificare
il suo modo d'agire col dire che questo gli è imposto dalla sua fede:
sento che il mio animo si sta trasformando.
«Le pene e gli stenti di questi giorni mi hanno reso un altro. Sono cambiato,
non so se in bene o in peggio, ma sono diverso.
«Marion, non sono più il Sandro che tu amorosamente hai assistito
a Stella. La vita, questa dura vita, ci trasforma. I miei fratelli non hanno
conosciuto nulla di quanto io vado conoscendo in questi giorni.
«Piccola, è triste essere soli per il mondo e senza mezzi, con
la fame e non sapere a chi rivolgersi, e bussare a tutte le porte come un mendicante,
chiedere lavoro e sentirsi rispondere "nulla".
«Per ora l'animo è ancora forte, voglio resistere e tentar di vincere,
perché se concludessi questa mia povera vita con un gesto insano, il
mio passato verrebbe giudicato il frutto di una mente malata, e questo maggiormente
mi avvilisce. Almeno tu, che sempre mi hai compreso, mi fossi vicina come un
giorno…
«Tu ricordami e pensami con amore. Credi, ne sono
ancora degno.
«Per ora sono qui a Milano in cerca di lavoro: al momento non si trova
nulla, solo promesse. La mia vita è triste e piena di stenti. La mamma
è bene che non sappia nulla. Baciala per me, dille che l'amo sempre e
dille che è triste essere per il mondo soli e non sapere quando questa
solitudine avrà fine» .
A parte la prosa un po' ottocentesca, è quanto mai chiaro che l'esule
Pertini a Milano se la passava tanto male da aver pensato, in un momento di
sconforto, anche al suicidio.
La sua situazione migliorò soltanto quando i socialisti decisero che
l'unico mezzo per far espatriare Turati era quello di farlo fuggire via mare
dalla riviera ligure di ponente. Da quella costa l'imbarcazione avrebbe dovuto
raggiungere la Corsica, come poi avvenne. Dunque ci voleva qualcuno del posto
che potesse organizzare la spedizione, qualcuno che conosceva la zona e potesse
contare su amici fidati: chi, meglio di quell'«avvocatino» savonese
, che girava per Milano chiedendo un lavoro? E fu così che Pertini venne
«arruolato» .
Grazie a un piccolo aiuto finanziario, i suoi stenti ebbero fine. E venne subito
rispedito in Liguria per organizzare la fuga. Egli stesso lo confidò
alla sorella in un'altra lettera.
«Mentre in auto mi portavo ad Albisola per prendere il treno, ho guardato
lassù , in alto sulla montagna, e la mia anima ha intravisto la casa
di nostro padre, dove tu sei; casa la cui soglia a me non è più
dato di varcare. Era una giornata di sole. Adreiff, che ami come amo io, dice
che nelle giornate di sole si ama tutti, anche i nostri nemici. Ed io volevo
dimenticare di essere bandito dalla terra di mia gente, e volevo venire costì
, prenderti e con te andare sulla tomba di nostro padre, baciarti e poi nuovamente
fuggire. Questo il mio cuore voleva. Ma la ragione ha imposto la necessaria
rinuncia, già troppo mi ero fermato a Savona, era già stata notata
la mia presenza e la missione affidatami era importantissima e delicatissima,
a voce ti dirò tutto» .
Ma «Sandrino» non ebbe più il tempo di parlare con la sorella.
Alle 10 di sera dell'11 dicembre il motoscafo alla cui guida c'erano Guido Oxilia
e Lorenzo Dabove, entrambi amici di Pertini, partì con a bordo Turati,
Parri, Rosselli, Olivetti e lo stesso Pertini. L'indomani mattina, dopo una
notte di burrasca, l'imbarcazione arrivò a Calvi, in Corsica.
C'è da domandarsi che cosa sarebbe stato
di Pertini se Turati fosse espatriato in Svizzera o o in Francia, attraverso
le Alpi. Ma nella vita del futuro presidente il destino è sempre stato
in agguato.
Politica a parte, passiamo al Pertini sentimentale e alle sue fidanzate. Bisogna
specificare subito che le lettere dei detenuti, e non solo quelle, venivano
regolarmente aperte e censurate all'amministrazione fascista. è quindi assolutamente
logico che il prigioniero, per non incappare nelle pennellate di inchiostro
di china dei suoi carcerieri, preferisse lasciarsi andare ai ricordi e ai sentimenti
che in quei lunghi momenti gli struggevano il cuore. Tra l'altro in prigione
Pertini si ammalò di tubercolosi e perse l'uso del polmone sinistro.
A un certo punto era talmente convinto di dover morire che inviò alla
sorella un testamento a suo favore che ancora oggi è conservato dalla
nipote Alda Tonna Villaggio.
Dunque momenti di malinconia che si traducevano anche in rimembranze dei suoi
amori giovanili. Saltando da una lettera all'altra, scopriamo che il primo amore
di Sandro Pertini fu una certa Rinuncola, un'amica e compagna di scuola della
sorella.La ragazza è citata in una lettera inviata l'11 maggio del 1943
dal confino nell'isola di Ventotene. Pertini parla dei bombardamenti che hanno
ridotto Genova in macerie: «Ricordi, sorella, i bei giorni vissuti assieme
nella nostra Genova, oggi un cumulo di rovine? Ho visto le fotografie di tanto
disastro. Che strazio, sorella. Anche l'Accademia è stata colpita, l'Accademia
, ove tu hai studiato con Rinuncola, ed ove io tutte le sere venivo a prendervi…Come
eri contenta, allora, e come questa tua sana gioia sapevi trasmettere al mio
animo inquieto. Una tua parola bastava a rendermi sereno. Anche la casa di Rinuncola
deve essere stata colpita. In quella casa, sorella, io conobbi la felicità
, che poi in un momento d'insania io stesso distrussi…» .
La seconda love
story del futuro presidente fu quasi bucolica, vissuta tra i boschi dei monti
liguri. Ne parla egli stesso alla madre in una lettera inviata il 5 luglio del
1940 da Ponza, la stessa isoletta dove poi sarà tenuto prigioniero Mussolini.
Pertini parla di Antonietta, una donna di servizio che in passato si era occupata
anche di lui e dei suoi fratelli, e che nel 1940 era tornata in casa Pertini
per assistere l'anziana madre malata del giovane detenuto, cui era tanto affezionata.
«Ed in questo momento, pensando a lei, ricordo anche Piampaludo, il piccolo
paese pieno di pace, ove lei nacque, e dove io mi rifugiai per alcuni mesi per
prepararmi all'esame di laurea lontano dalle tentazioni di Stella…E mentre
questo scrivo, ecco improvviso sorgere qui dinanzi a me, illuminato da un dolcissimo
sorriso, il volto di una creatura buona, che amai con cuore completamente rinnovato
al contatto della sua purezza. Si chiamava Mary, era una trovatella e viveva
con un vecchio zio di nome Lazzaro. Era bella d'una bellezza forte e selvaggia.,
come la natura che la circondava; aveva l'anima limpida e pura come l'acqua
dell'Orbarina, che scorre fra quei monti. Vicino a lei il mio cuore si purificò
di tutte le colpe, che aveva commesse in amore per assecondare la mia ardente
giovinezza: e tornai buono come quando ero adolescente. Così l'amai senza
peccato. Dove sarà adesso questa buona e bella creatura? Nel mio cuore
vive il ricordo di lei; e talvolta con nostalgia penso a lei come a qualche
cosa di puro e di bello conosciuto, ma non completamente posseduto…Non sarebbe
stato meglio che, ascoltando le sue esortazioni, mi fossi fermato fra la pace
di quei monti, vicino a lei, lontano dalla lotta, dalle passioni, dalle ansie
che ho conosciuto sino ad oggi, e di cui tutta la mia vita ormai è tessuta?
Eppure, mamma, se ancora mi fosse dato di tornare indietro e cosciente di tutta
l'esperienza di questi anni mi fosse concesso di scegliere fra quella sorte
allora solo per un attimo intravista e questo mio destino, non esiterei un istante
nella scelta: riprenderei la strada percorsa sino ad oggi. Soltanto una modificazione
vorrei apportare a questa mia tormentata vita: cercherei di rimanere solo, solo
con la mia fede per potermi ad essa offrire senza spezzare alcun cuore, senza
lasciare dietro di me lacrime disperate…» .
E in effetti dietro di sé Pertini di lacrime ne lasciò tante.
Furono quelle che versò la sua fidanzata ufficiale, Matilde Ferrari,
detta Mati, che aspettò il suo «Sandrino» per oltre diciotto
anni per poi sentirsi dire che era meglio lasciar perdere, che ognuno se ne
andasse per la propria strada.
La storia di questa donna, che non si sposò mai contrariamente a quanto
fece Pertini che nel '47 impalmò la poco più che ventenne Carla
Voltolina, è avvolta nel mistero. Anche perché lei stessa non
volle mai parlare della sua lunga relazione con l'uomo che poi divenne uno dei
più noti politici dell'Italia repubblicana. Ma il Pertini detenuto pensava
sempre alla sua fidanzata lontana e, parlando con la sorella, cercò a
più riprese di farla accettare dalla sua famiglia. Infatti i Pertini
non vedevano di buon occhio questa ragazza, che forse non consideravano del
loro stesso livello sociale. Ma vediamo cosa dice l'interessato in una lettera
inviata a Marion da Napoli, durante il trasferimento al carcere di di Turi,
il 18 dicembre 1930. In quel periodo Mati aveva 25 anni.
«Ma
vi è un pensiero che colma spesso il mio animo di tristezza, ed è
il pensiero della mia fidanzata. Povera creatura, quanto ha sofferto e soffre
per me, sorella. Lo so, la mamma è in dissidio con lei, ma, Marion, è
buona, sai, è la verità quella che ti scrivo. Pensa che per causa
mia fu arrestata sotto gli occhi della sua mamma, di notte, e portata a Roma
alle Mantellate ove rimase 10 giorni sotto la minaccia del Tribunale Speciale.
Non un lamento, non un rimprovero è uscito dalla sua bocca, ma solo parole
d'amore e di devozione. Mi sento colpevole verso questa povera creatura. Bisognerebbe
essere soli, noi soli, con la nostra fede» .
Pertini nelle 48 lettere parla diverse volte di quella che definisce la «
mia Mati» e sempre più spesso la raccomanda alla sorella pregandola
di non farle sapere che ha contratto la tubercolosi. La ragazza, da parte sua,
continua a scrivergli tutti i mesi e cerca come può di fargli giungere
il suo amore.
Arriviamo così al '43 quando Pertini, con il regime fascista allo sbando,
riesce a lasciare l'isola di Ventotene e torna a casa. A Stella San Giovanni
resta solo tre giorni. Riabbraccia la sorella, la madre e finalmente conosce
i due figli di Marion, Alberto e Alda. E ovviamente incontra, dopo 18 anni,
anche Mati. Nessuno dei due è più giovane come allora: lui ha
47 anni, lei 38. La guarda, scambia poche parole di circostanza, e scappa via.
Lei capisce e piange.
Pertini torna a Roma per combattere nella Resistenza, ma il 23 ottobre del 1943
viene arrestato con Giuseppe saragat e rinchiuso a Regina Coeli. Quello stesso
giorno, pensando davvero di finire davanti a un plotone d'esecuzione, scrive
nuovamente a Marion.
«Marion, ti raccomando una creatura buona da me sacrificata alla fede
che mi arde nel cuore. Se tu sapessi quanto questa dolce e santa creatura ha
per me sofferto, se tu sapessi. Mi ha atteso pazientemente, senza mai nulla
chiedere, per diciotto anni; e dopo così lunga attesa, fatta di penose rinunzie
ed in cui io arrivai a negarle anche il conforto della mia parola, la povera
ragazza mi venne incontro sorridente, lieta, senza una parola di rimprovero,
di rammarico; preoccupata solo di me, della mia sorte: Dimmi, dimmi tu quale
altra donna avrebbe saputo esser così tenace nel suo amore per un uomo,
che in modo così crudele, senza pietà alcuna, la posponeva alla
sua fede ed a questa la sacrificava?
«Creatura d'eccezione, Marion. Io ti esorto a riflettere su questa vita
da me stroncata; umile vita, fatta di lacrime nascoste, di rinunzie amare, illuminata
solo da un amore profondo. Oh, se tutto questo si leggesse in un romanzo, ci
commuoverebbe sino alle lacrime; l'abbiamo invece sotto gli occhi, nella realtà
d'ogni giorno che ne circonda, e ci lascia indifferenti. Certo è questo:
che Mati sarà sempre un tormentoso rimorso per me» .
Ma Pertini non venne fucilato e, con un'azione militare viene fatto evadere
dal braccio tedesco di Regina Coeli con Saragat.
La riconoscenza, comunque, non era una delle virtù di Pertini. A guerra
finita la sorella Marion perse prematuramente il marito Aldo Tonna, colpito
da un brutto male, e rimase senza un reddito sicuro. Marion aveva assistito
il fratello per gli oltre 14 anni della detenzione inviandogli assiduamente
un mensile di 150 lire, che a quel tempo non era poco.
Sarebbe stato dunque logico che in quella tragica evenienza egli avesse fatto
qualcosa per la sorella rimasta sola con i due ragazzi. Anche perché
ormai Pertini era un uomo importante. Ma non fece nulla. Come dice la nipote,
«non voleva creare precedenti nella parentela» . Così si
limitò a esprimere il proprio rammarico per la disgrazia che l'aveva
colpita.
Il resto è storia. Pertini venne eletto Presidente della Repubblica sabato
8 luglio 1978 al sedicesimo scrutinio, con 832 voti di preferenza su 995 votanti:
un risultato senza precedenti. Anche Andreotti, da sempre suo avversario politico,
votò per lui. Rimase in carica fino al 1985.
Mati, comproprietaria di una farmacia ad Albisola Marina, nella riviera ligure
di ponente, morì nubile nel 1986 all'età di 81 anni facendosi
promettere dai nipoti sul letto di morte di non rivelare mai nulla del suo fidanzamento
con Pertini per non danneggiarlo. Fu l'ultima prova di un amore che non si era
mai spento. Pertini morirà quattro anni dopo, la sera del 24 febbraio
1990, lasciando dietro di sé il ricordo di un politico onesto.
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