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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE
(Il Giornale, Pubblicato Giovedì 15 Maggio 2008)
Era
l'estate del 1944. In un paese dell'Appenino ligure i militari tedeschi delle
SS, appoggiati dalle camicie nere italiane, stanno organizzando un processo
in piazza. È quasi mezzogiorno e il sole è alto allo zenit. Sotto il
campanile della chiesa siedono un ufficiale tedesco e uno italiano. Dall'altra
parte della piazza, controllati e tenuti sotto mira dai tedeschi che ridono
e bevono grappa, ci sono un centinaio di uomini rastrellati qua e là
lungo le colline. Alcuni di essi sono certamente partigiani, altri semplici
contadini del posto o viandanti capitati da quelle parti per caso. Disteso su
una barella, un ragazzo di circa vent'anni, avvolto in una coperta insanguinata,
guarda verso i due ufficiali senza dire una parola. Anche lui è un partigiano:
lo hanno catturato dopo averlo ferito con un colpo di mitra ad una gamba. E
con lui le SS hanno fatto un patto: se vuole salva la vita, ed essere libero
di andarsene, deve indicare chi di quegli uomini fermati fa parte del suo gruppo.
I prigionieri, infatti, vengono fatti sfilare uno per uno davanti agli ufficiali.
Il ragazzo ferito solleva un dito verso l'alto per indicare che l'uomo è
un partigiano, abbassa l'indice se si tratta di un favoreggiatore, non fa nulla
se l'inquisito è uno sfollato o uno sconosciuto.
Un milite della Decima Mas, inviato in paese per consegnare degli ordini, assiste
alla scena. Alla fine dell'interrogatorio, i fermati sono stati divisi
in due gruppi: da una parte coloro identificati come partigiani combattenti,
dall'altra i favoreggiatori. I più fortunati, se così si
può dire, sono questi ultimi che verranno tutti inviati nei campi di
lavoro in Germania. Per gli altri, una cinquantina, non c'è scampo.
Le SS, mitra spianati, spingono i prigionieri a gruppi sul ciglio della piazzetta,
nei pressi della scarpata che scende verso un ruscello. Poi sparano. Per terra
un anziano si contorce. Un sergente tedesco si avvicina e gli spara un colpo
in testa. Quindi con un piede spinge il corpo nella scarpata, insieme agli altri.
Un uomo ben vestito e abbronzato grida: “Viva il re”. Un ragazzo
saluta militarmente e urla: “Viva l'Italia”. Qualcuno invoca
a voce alta la madre. Un altro, si stacca dal gruppo e mostra un diploma sgualcito
ai due ufficiali: “Ho fatto la marcia su Roma…”, dice. Ma
il traditore sulla barella, inesorabile, alza di nuovo il dito: anche quello
è un partigiano. Una raffica li ammazza tutti. Il diploma resterà
per terra, galleggiante su una pozza di sangue. Il milite della Decima Mas non
ne può più e scappa via. Sulla strada si fermerà vicino
ad una siepe di more per vomitare.
È con episodi di questo tipo, tanto cruenti quanto drammaticamente reali
e vissuti, che Luigi Del Bono, ufficiale medico della Decima Mas, racconta le
sue memorie di guerra nel libro “Il mare nel bosco” pubblicato dalla
Associazione culturale Italia. Del Bono è figlio del suo tempo. Cresciuto
nella gioventù fascista, crede in Mussolini e nei valori della patria.
Ma, scrive nel libro: “Mussolini non era, alla prova dei fatti, quel superuomo
che noi giovani avevamo adorato, ma un giocatore di poker abile e amante del
bluff. Adesso si pagavano le illusioni”. Tuttavia, chiarisce, “la
dirittura morale e la fede alla parola data per me erano dati di fatto indiscutibili”.
E così, a guerra ormai perduta, si arruola nella Decima Mas di Valerio
Borghese perché non può accettare un'Italia che cambia bandiera
trasformando i nemici in alleati e gli alleati in nemici. Vuole combattere Del
Bono, ma da militare contro militari, per salvare l'onore del Paese. Invece
si ritrova in un bosco a fronteggiare una guerriglia che alla fine si rivela
per quello che è: una guerra civile tra italiani. Se ne accorge un giorno
quando, offrendosi con un commilitone come ostaggio nelle mani dei partigiani
per 24 ore, scopre che il capo dei ribelli è un militare come lui, un
alpino che ha fatto la guerra in Russia e che odia i tedeschi perché,
gli racconta, “durante la grande ritirata nella steppa gelata, gli alleati
germanici avevano sottratto gli automezzi ai camerati italiani”. E restare
a piedi, in quelle condizioni, significava essere condannati a morte certa.
E furono infatti centinaia di migliaia gli italiani morti in quella tragica
ritirata.
Del Bono odia quel tipo di guerra. E infatti parla della “popolazione
civile che non ne poteva più, angariata dai prelievi forzosi dei partigiani
e dai rastrellamenti tedeschi e italiani. Era morta veramente la pietà
d'ambo le parti”.
È anche per questo che Luigi Del Bono dedica il suo libro “Ai Caduti
della Repubblica Sociale Italiana e della Resistenza”. In quegli anni
due Italie si confrontarono armate in nome di opposti ideali. Vinse la democrazia,
anche a dispetto di quelle forze comuniste che volevano soppiantare l'autoritarismo
nero con l'autoritarismo rosso. Ma è ora di mettere la parola fine
ad un conflitto che verrà ricordato soprattutto per l'enorme costo
in vite umane. Del Bono lo fa a modo suo onorando i caduti di entrambe le parti
e invitando i contemporanei a guardare il futuro insieme per non ripetere mai
più gli errori del passato.
“Il mare nel bosco” di Luigi Del Bono, Associazione Culturale Italia Editore, 2008, pp. 137, ISBN 9786001666865, €15,00.
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